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31-05-2013

Didattica con gli archivi per la storia locale.
La scuola in archivio e l’archivio a scuola per raccontare storie di vita passata.
Il progetto del Sistema Bibliotecario di Dalmine, con il contributo economico della Regione Lombardia, ha coinvolto alcune scuole medie (anno scol. 2012-2013).

18-06-2012

"La banda di Sforzatica, 1922-2012" a cura di Claudio Pesenti, Valerio Cortese ed Enzo Suardi

31-10-2011

L'emigrazione in Italia e a Mozzo dai documenti dell'archivio comunale

29-10-2011
Pubblicate online le mappe napoleoniche
17-09-2011
"Dalmine: dal leone al camoscio. Storia di cinque comuni e uno stemma" a cura di Claudio Pesenti, Valerio Cortese ed Enzo Suardi
11-10-2010
relazione Giovanni Da Lezze
sui Comuni dell'area di Dalmine nel 1596, a cura di Vincenzo Marchetti e Lelio Pagani, Bergamo, 1988
 

Occupazione della fabbrica di Dalmine 1919-20

GB Pozzi - Occupazione della fabbrica di Dalmine




Dalmine 17 marzo 1919 - Centenario della prima occupazione operaia di una fabbrica in Italia
(articolo pubblicato sul settimanale “Cultura Commestibile”, n. 301, 23-03-2019)

Gli anniversari servono a non dimenticare fatti ed eventi storicamente lontani, ma ancora densi di significato. La pagina scritta nel 1919 dagli operai e impiegati di Dalmine, in provincia di Bergamo, è lontana ed evanescente. Chi la ricorda, lo fa per celebrare gli esordi del fascismo e la fondazione dei fasci di combattimento il 23 marzo a Milano in piazza San Sepolcro. Da leggere il libro di Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei Fasci italiani di combattimento che traccia il profilo, mai pubblicato, dei 206 sansepolcristi che parteciparono a quella convention, mito fondativo del fascismo. Una conversazione con l’autore su Radio Rai3 e su Radio Radicale.
Il 20 marzo 1919 Mussolini andò a Dalmine ad arringare la folla degli operai in sciopero. Gli applausi e l’entusiasmo non mancarono. Fu una visita rapida e inaspettata, frutto della sete di potere di Mussolini che sapeva flirtare con tutti, pur di raggiungere il suo scopo. Ma lasciamo la parola a un artefice e cronista eccezionale di quelle lotte, come un odierno blogger: Giovanni Battista Pozzi, il quale nel 1921 pubblica a sue spese un libro per i posteri, poco noto e pochissimo studiato: La prima occupazione operaia della fabbrica italiana nelle battaglie di Dalmine, Bergamo, Soc. Tip. Ed. Bergamasca, 1921. Un libro bollato come ambiguo, confuso, un guazzabuglio di idee, costruito su ritagli di giornale e ordini del giorno delle assemblee, misto a mozioni, proclami e lettere dell’azienda, a invettive rivoluzionarie, aniticapitaliste e antisocialiste. Pozzi era un sindacalista rivoluzionario della corrente di Filippo Corridoni, un nazionalista, erroneamente annoverato tra i fascisti per avere partecipato all’adunata di San Sepolcro, come altri anarchici, socialisti e interventisti e alcuni massoni, monarchici e liberali.
«Mancavano allora pochi giorni alla prima adunata nazionale e costitutiva dei “Fasci Italiani di Combattimento”: 23 Marzo 1919. Il 20 Marzo capitò a Dalmine Benito Mussolini; questi parlò alle ore 13 nel cortile della casa Colleoni [a Dalmine], dov’era la sede dell’Unione Sindacale, cioè della Sezione dalminese dell’Unione Italiana del Lavoro. [...] Anche il “Fascismo”, che voleva essere un antipartito ai fini della valorizzazione profonda della vittoriosa guerra italiana, malgrado le sue buone intenzioni iniziali, divenne «partito», una «fazione» e peggio: il partito e la fazione del miscuglio più eterogeneo e più pletorico che potesse formarsi fra intellettuali degenerati e malati, borghesi e agrari arrabbiati e inferociti, con una miscela di proletari nemici di se stessi, e riuscì a dare le forze della cantaride [un coleottero usato nell'antichità come energetico e afrodisiaco] alla borghesia più vile e più floscia che esistesse: la borghesia plutocratica italiana. Ma poiché, malgrado tutto, il movimento dei lavoratori è una realtà e le beghe dei partiti o dei pretesi antipartiti sono il contrario, da quel glorioso movimento operaio e dallo spirito di geniale italianità che lo ha suggellato, sono venuti fari di luce, insegnamenti, moniti, esempi ed incitamenti che hanno dato ben presto i loro frutti: Dalmine, terra italiana, di speculazione tedesca e di italiani tedescheggianti, è stata il singolare teatro di una serie di fatti sindacali, operaistici e impiegatistici, intimamente collegati, fra loro dal più sano spirito di patria ed idealizzati, animati da uomini dall’anima squisitamente italiana e libera, sindacalista e rivoluzionaria, fatti che trascesero i luoghi e i tempi entro cui si compirono, e che ammoniranno chi lavora e produce, col braccio e col pensiero, a perseverare sulla via aspra ma salutifera dei pionieri di Dalmine.»
È un giudizio nettamente negativo sul fascismo diventato partito e braccio armato del potere. Vi emerge lo scontro epocale del sindacalismo rivoluzionario, movimento di classe antipartito e antisistema, sindacalismo dei produttori contro i capitalisti e la finanza parassita, movimento nazionalista ed eversivo per l’autogestione operaia e l’espropriazione della proprietà privata, consapevole della forza e dei diritti del proletariato operaio insieme al proletariato impiegatizio, tecnico e amministrativo. Non scevro però di estremismo fanatico.
La società Franchi Gregorini, sostenuta dalla Banca Commerciale Italiana, era proprietaria della Dalmine, un’azienda fondata nel 1906 dalla Mannesmann tedesca per produrre tubi senza saldatura, in una vasta area di campagna di oltre seicentomila mq, ricca di manodopera contadina alle porte di Milano, allora Comune di Sabbio, che nel 1927 formerà il Comune di Dalmine dall’unione degli antichi Comuni di Mariano, Sabbio e Sforzatica. Ogni giorno produceva circa 100 tonnellate di ferro lavorato.
Gli oltre duemila operai e impiegati chiedevano otto ore giornaliere di lavoro, sabato inglese, ossia riduzione dell’orario di lavoro a 44 ore settimanali, fissazione dei minimi e delle medie di paga, riconoscimento dell’organizzazione sindacale, settimana integrale, aumento di paga agli operai di alcuni reparti e specialità, ore straordinarie pagate al 100 per cento, preferenza nelle assunzioni agli operai piuttosto che ai contadini, richiesta del parere operaio su miglioramenti tecnici utili allo sviluppo dell’industria.
L’azienda ripose con un secco no e con la serrata. Allora, Antonio Croci, uno dei dirigenti sindacali, ebbe un’idea geniale quanto semplice. Gli operai a fine turno sarebbero rimasti in fabbrica, si sarebbero chiusi dentro lo stabilimento e avrebbero dimostrato di essere in grado da soli di far marciare lo stabilimento.
Così nacque la prima occupazione operaia di una fabbrica in Italia. Fu un esperimento di autogestione e socializzazione industriale. Uno sciopero lavorativo. Durò pochi giorni, da sabato 15 marzo a lunedì notte 17 marzo 1919, interrotto dalla mancanza della forza elettrica e dall’intervento della forza militare di 800 soldati. Però l’esperimento venne presto imitato dalle fabbriche del triangolo industriale durante il biennio rosso 1919-1920. L’atto che Pozzi chiamò di “Volontà”, dovuto alla volontà degli operai, fu poi replicato a Dalmine nel 1920 con l’occupazione della fabbrica per un mese intero, dal 2 settembre al 2 ottobre e dopo oltre un mese di sciopero, che costrinse i lavoratori a rimanere per 70 giorni privi di stipendio.
Purtroppo l’estremismo massimalista delle correnti socialiste, comuniste ed anarchiche, le loro inconciliabili divisioni e visioni della società e del mondo, una diffusa cultura anticasta, antipartito e antiparlamentare, alimentata dalla miseria e dalle disilluse speranze del dopoguerra, spianarono la strada al fascismo, che nel 1919-1920 apparve come un movimento di rottura pseudo rivoluzionaria, rinnovatore della società, eppure inizialmente privo di consenso. Invece, grazie al sostegno dei centri economici del potere, degli agrari, della monarchia, dell’alto clero e dei giornali, in pochi mesi, attraverso la violenza dello squadrismo e della repressione poliziesca, riuscì a sbaragliare i socialisti e le camere del lavoro, conquistare potere e consenso e mettere ordine nella società, reprimendo ogni libertà politica e associativa.
Tra i dirigenti della battaglia di Dalmine: Antonio Croci, Secondo Nosengo, Tranquillo Vavassori, Giovanni Girelli, Vito Poli, Luigi Soldati e tra gli impiegati Ferruccio Alfredo Malvezzi ideatore del sindacato degli impiegati, Emilio Dvorak dirigente manutenzione e impianti, Antonino Dragotto capo ufficio vendite, Giovanni Battista Pozzi impiegato e ottimo oratore, eletto nel Consiglio di Fabbrica con 1.712 voti, il massimo dei voti tra operai e impiegati. Le otto ore di lavoro giornaliere, le quaranta ore settimanali, i contratti di lavoro odierni ci devono ricordare chi prima di noi ha lottato per i diritti dei lavoratori, compiendo a volte errori di strategia e metodi, ma con il solo obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Alcuni di questi leader, definiti «guerriglieri del sindacalismo bergamasco» dal giornale clericale L’eco di Bergamo, vennero infine licenziati nel 1920 e 1921, dopo il tentativo di corromperli col denaro. Sono gli impiegati Dragotto, Dvorak, Malvezzi e Pozzi. La sperata rivoluzione proletaria o bolscevica, il controllo sindacale delle aziende, si trasformò presto nel suo rovescio, in repressione delle istanze liberali, democratiche, socialiste e anarchiche. Molti si ritirarono in disparte. Per altri fu l’esilio, il confino e il carcere. La dittatura fascista aveva vinto. Quando si toglie la libertà non c’è mai nulla di buono!

Il libro di G.B. Pozzi si può leggere su www.archivista.eu/ebook-dalmine

 

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